L’Istituto di Fisica dell’Università di Torino

La storia dell’Università di Torino ebbe inizio nel 1404, quando il papa di Avignone Benedetto XIII accordò al vescovo di Torino il potere di conferire le insegne accademiche, riconoscendo di fatto la condizione di studium generale a certe scuole di diritto che forse funzionavano in città già da qualche anno a cura di alcuni professori giunti dall’Università di Pavia, con il sostegno del principe Lodovico di Savoia-Acaja.
A sanare l’istituzione di uno studio generale a Torino giunse nel 1412 un diploma da parte dell’imperatore Sigismondo.
Il duca Amedeo VIII affidò nel 1424 il governo dell’Università ad un Consiglio composto dal Governatore generale del Piemonte e da tre Riformatori. Dopo tre anni la sede fu trasferita a Chieri e poi a Savigliano, per poi tornare a Torino nel 1436. Dal 1443 lo Studio ebbe sede in un modesto edificio all’angolo tra le attuali via Garibaldi e via San Francesco d’Assisi, dove rimase fino al 1720.
All’inizio del XVI secolo l’Università di Torino godeva di un’ottima fama ed era frequentata da un numero considerevole di stranieri, fra i quali viene ricordato il famoso Erasmo da Rotterdam, qui laureato nel 1506. Durante la guerra che si accese tra Francesco I e Carlo V, l’Università di Torino venne chiusa, sino alla pace di Chàteau Cambresis, quando il duca Emanuele Filiberto si dedicò al riordinamento degli studi. Egli istituì nel 1560 un’Università in Mondovì dato che Torino continuava ad essere occupata dai France
si. Fu nel 1566 che l’Università tornò a Torino. Emanuele Filiberto affidò il governo dell’Università al Magistrato della riforma e ricostituì le tre facoltà di teologia, legge e medicina (di quest’ultima facoltà facevano parte la filosofia morale, la fisica, la matematica e le lettere).
Fu il re Vittorio Amedeo II a dare all’Ateneo un aspetto più efficiente, emanando tra il 1720 e il 1772 le Costituzioni per l’Università di Torino.
Attraverso le Costituzioni il sovrano si proponeva di valorizzare i compiti di formazione culturale e professionale indispensabili al buon funzionamento della macchina statale e allo sviluppo della società. Le Costituzioni del 1720, in particolare indicavano che “chiunque non sarà graduato in detta università non potrà esercitare nell’avvenire alcun ufizio, o dignità appartenente alla facoltà di cui in essa Università si conferisce la laurea”. E con le Costituzioni del 1729 si stabilisce che “non sarà lecito a chi che sia d’insegnare pubblicamente nella presente città alcuna delle Scienze ed Arti che s’insegnano nell’Università. Nelle province poi tanto di qua’ e di la’ dei Monti, e colli non s’insegneranno che dette Scienze ed Arti e se non da quelli che avranno preso la laurea, o il Magistero nell’Università.”
Con le Costituzioni del 1729 le facoltà divennero il fulcro nell’ateneo. Le facoltà erano quattro: Teologia, Legge, Medicina e Chirurgia, Arti. Fra i sei docenti della facoltà nelle Arti, che era preposta per formare gli insegnanti e figure professionali, quali architetti, geometri, misuratori, cartografi e contabili, uno era di Fisica sperimentale (tra gli altri cinque ve ne era uno di Filosofia, due di Matematica e due di Eloquenza e di lingua greca), affiancato da un Macchinista” che lo coadiuvasse negli “Sperimenti di Fisica”, figura 1.

L’Università aveva allora sede in una casa davanti alla chiesa di S. Rocco, in via S. Francesco d’Assisi, sino a che Vittorio Amedeo II fece costruire il maestoso palazzo, attuale sede del Rettorato.
Il palazzo dell’Università, collocato tra la via di Po 17 e quella della Zecca, fu fatto erigere nel 1713, su progetto dell’architetto Ricca. Il cortile è circondato di portici dove sono presenti lapidi romane. Due grandiose scale conducono alla galleria del piano superiore, dove si vedono, lungo le pareti, alcuni busti di personaggi benemeriti della scienza. Il piano terreno, a destra entrando, contiene la grand’aula, in cui si tengono le solenni adunanze; al piano superiore si trovano la biblioteca, il teatro delle dimostrazioni scientifiche, il gabinetto di fisica, ecc.


  • La Fisica all’Università di Torino



    Nel 1719 Vittorio Amedeo II incaricò per l’insegnamento della fisica Giuseppe Roma, cui successe nel 1732 il suo allievo Francesco Garro. Entrambi appartenenti all’Ordine dei minimi e di stampo cartesiano. Nel 1739 arrivò a Torino l’abate Jean Antoine Nollet, celebre fisico francese, per tenere un corso di fisica e condurre una serie di esperienze. Nollet portò con sè una collezione di strumenti che poi donò al re. Tornato per una seconda volta a Torino nel 1749 per dare lezioni di fisica al duca di Savoia, il futuro Vittorio Amedeo III, constatò con sorpresa che gli strumenti che aveva lasciato 10 anni prima erano ancora presenti e funzionanti.

    La vera svolta nella fisica piemontese si ebbe, però, con l’arrivo di un fisico newtoniano, il monregalese Giambatista Beccaria che diede un approccio fortemente sperimentale alla fisica insegnata all’Università di Torino e che si dedicò in particolare agli studi sull’elettricità, pubblicando quello che fu considerato il primo manuale europeo di taglio frankliniano: L’elettricismo artificiale e naturale. Restò in cattedra fino alla sua morte avvenuta nel 1781.
    Gli successero Eandi, il nipote Vassalli Eandi e Giorgio Follini che tuttavia, diversamente da Beccaria, non accrebbero in modo significativo la collezione del Gabinetto.

    Le cose cambiarono nel 1826, con l’arrivo in cattedra di Domenico Botto, che vi rimase fino al 1855 e fece molti acquisti di strumenti in parte ancora presenti nel Museo. Altra figura di spicco del XIX secolo è senz’altro Gilberto Govi, attento ricercatore nell’ambito della meccanica di precisione che portò nuovi strumenti di precisione e di pregio al Gabinetto di Fisica. La fine del secolo è segnata dalla presenza di Andrea Naccari, fisico di rilievo nella ricerca e attivamente coinvolto nella progettazione e realizzazione della nascente Città della Scienza e nella costruzione di quello che ancora oggi è l’edificio del Dipartimento di Fisica.

    La fisica studiata dalle figure sopra elencate ha profondamente influenzato e caratterizzato la scelta degli strumenti acquistati e quindi la collezione attuale del Museo di Fisica, dandogli note e sfaccettature che ci permettono di ricostruire l’evoluzione storica della fisica dell’epoca. Di seguito si riporta una tabella riassuntiva con i periodi di insegnamento dei professori passati per l’Università di Torino.

    I Macchinisti



    Ma il professore di Fisica non era solo di fronte agli strumenti. Era infatti affiancato dalla figura del Macchinista, ovvero un tecnico che si occupava dell’acquisto, della manutenzione e della cura degli strumenti. Alcuni dei macchinisti che hanno prestato servizio al Gabinetto di Fisica erano anche abili costruttori di strumenti e talvolta sostituivano il professore per tenere lezioni.
    Il Settecento vede la presenza di numerosi macchinisti all’Università di Torino, a partire da Albertino Reyner, seguito poi dal più conosciuto Carmelo Francalancia, che affiancò Beccaria nel suo primo periodo da professore. In realtà, dall’analisi dei mandati di pagamento compaiono due Francalancia: Carmelo dal novembre 1748 al 1751, e poi Giuseppe dal 1758 al 1764.
    Dopo Giuseppe Francalancia arrivò, come macchinista, Domenico Canonica, seguito da Michel Angelo Zanata o Zanatta e Gioanni Bordogno. I macchinisti del XIX secolo appartenevano invece, a parte il già citato Bordogno, a una medesima famiglia, i Jest: prima Enrico Federico Jest, seguito da Carlo Jest, affiancato per qualche anno da Costante Jest nel ruolo di secondo macchinista.

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