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Museo di Fisica

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1. Il gabinetto di fisica

Le origini del cosiddetto "Gabinetto di Fisica" risalgono agli inizi del XVIII sec., è infatti negli archivi storici dell'Università che si trova la notizia dell'acquisto di parecchie macchine da parte del P. Gian Maria Roma dell'ordine dei minimi. Tale acquisto fu effettuato nel 1721 al fine di "servirsene per coltivare, ed insegnare la fisica col soccorso delle esperienze"; tuttavia padre Roma era un cartesiano convinto interessato soprattutto agli aspetti filosofici della fisica cartesiana tenendo in secondo piano la componente sperimentale. D'altro canto l'abate Nollet in una nota alla prefazione del suo trattato di fisica sperimentale (Parigi, 1743) fa risalire la nascita del Gabinetto di Fisica al 1739, anno in cui fece arrivare da Parigi macchine d'ausilio per l'insegnamento della fisica al Duca di Savoia, macchine che furono in seguito cedute all'Università dal Re Carlo Emanuele III (1).

Al padre Roma succedette il suo assistente padre Francesco Garro (nel Calendario Generale Pe' Regii Stati (2) appare come padre Garo), anch'egli dell'ordine dei Minimi. Esperto di arti meccaniche non mancò di arricchire il gabinetto con diverse macchine che costruì personalmente; queste ultime unite a quelle fatte pervenire da Nollet costituiscono il primo nucleo del Gabinetto. Le macchine furono allora divise in otto classi (vedi anche inventari):

per le sperienze del peso ed equlibrio dei solidi; per il moto, peso ed equilibrio dei liquidi; per le sperienze dell'aria; per le sperienze del fuoco; per le sperienze della luce e dei calori; per le sperienze della calamita e dell'elettricità; istromenti di cosmografia; istromenti di meteorologia
Alla crescita del patrimonio strumentale del gabinetto vi furono in quegli anni vari contributi fra i quali quello del padre Giulio Accetta dell'ordine degli Eremitiani cui era stata assegnata una delle due cattedre di matematica. Alla sua morte (1752) lasciò all'Università diversi strumenti di Fisica. Successivamente sotto il prof. Beccaria e, ancor di più, sotto la cura degli abati Anton Maria Vassalli-Eandi e Giorgio Follini il gabinetto fu ulteriormente ampliato fino ad essere ai livelli delle più rinomate accademie dei primi dell'800. Da una descrizione riportata nel Calendario Pe' Regii Stati (2) risulta che il Gabinetto era composto da quattro camere una delle quali allestita appositamente per esperienze di ottica. Nella principale facevano bella mostra i busti di Re Carlo Alberto e del conte Giuseppe Angelo Saluzzo. Alle pareti erano appesi i bassorilievi rappresentanti Nollet, Torricelli, Franklin, Cartesio, Volta, Beccaria, Vassalli-Eandi, Galilei, Newton ed Huygens. Le varie macchine erano sistemate in semplici e pratici scaffali. Fra di esse spiccavano: due macchine elettriche, una a doppio conduttore e l'altra a doppio fluido, entrambe opera di Enrico Jest; un elettromotore utilizzato per le scomposizioni chimiche; una pila termoelettrica utilizzata per la scomposizione dell'acqua e, infine, "... una macchina elettro-magnetica a rotazione continua, che contiene per avventura il germe di nuove applicazioni dell'elettromagnetismo alla meccanica..." si tratta del famoso motore di Botto. Il patrimonio di macchine del Gabinetto risulta ora particolarmente ricco: sempre dal Calendario (2) viene fatto rilevare che si è soprattutto accresciuto a partire dal 1814. La presenza di Enrico Jest come macchinista potrebbe risalire proprio a quell'epoca infatti si legge (2)
... Molte di queste furono costrutte in Torino dal macchinista della R.università, e fra quelle che lavorate trovansi con molta maestria ed eleganza s'ammirano specialmente l'elettrica il cui disco di cristallo è di 40 pollici (purtroppo andata perduta), e quella d' Atwood pel moto uniformemente accelerato e ritardato dei corpi.
Affinché tutti gli studenti approfittar possano delle pubbliche esperienze, s'eseguiscono dal professore nel giorno feriato di ciascuna settimana alle ore 10½ del mattino, ed a queste intervengono pure moltissimi amatori delle fisiche cognizioni, ai quali è pur conceduto di vedere e d'osservare il gabinetto di fisica, tuttavolta che ne richiedono il macchinista della R. università ...

Purtroppo non poche macchine andarono perse e di esse non rimane traccia. Alcune, invecchiate, furono eliminate, altre furono "cannibalizzate" fornendo parti per altri strumenti, altre ancora (e forse la maggior parte) furono perse nei vari traslochi da un posto all'altro. Un'idea degli strumenti posseduti in passato la si può avere oltre che dall'Antico inventario del Gabinetto di Fisica, anche da citazioni nei libri di testo dell'ottocento che mettono in rilievo l'importanza della collezione. Si trova ad esempio nel Basso (3) in una descrizione dei cosiddetti anelli di Nobili

"... tre esempi di questi anelli, che furono detti dal nome dello scopritore anelli di Nobili, si conservano nel Gabinetto di Fisica dell' Università di Torino fatti da questo stesso fisico...".

Nel Majocchi (4) se ne trova menzione più volte: ad esempio, riferendosi alla macchina elettrica a vapore (anche questa è stata persa nei vari traslochi).

"... La caldaia per la generazione del vapore consiste in un cilindro formato di robuste lastre di ferro, di diametro più o meno grande[...]Quella del gabinetto di fisica della R. Università di Torino ha la lunghezza di centimetri 80 e il diametro di 36…"