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Museo di Fisica

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5. I costruttori di strumenti a Torino

Nel 1800 gli strumenti scientifici in uso in Italia erano per la maggior parte importati da paesi in cui la cosiddetta industria di precisione era molto più sviluppata. Le "officine" in Italia erano pochissime: lo fece notare Gilberto Govi in una relazione del 1873 rivolta al governo nel tentativo di persuaderlo ad incoraggiare questo tipo di industria. Per quanto riguarda il Piemonte la situazione rimase critica almeno per tutto il '700: le macchine presenti nel Gabinetto erano quelle costruite dai docenti stessi, che si aggiungevano a quelle portate da Parigi dall'abate Nollet. Queste macchine costituiscono il primo nucleo del Gabinetto di Fisica. Il primo meccanico di cui si ha conoscenza è il macchinista Albertino Reynier, chiamato da Parigi nel 1738. Di lui si hanno poche notizie ma dai documenti1.11 si può comunque risalire al fatto che, almeno per un certo periodo, fu il custode del Gabinetto. Sempre nel settecento, come risulta dall'``Inventario delle Machine'', compaiono altri due macchinisti: il primo è Giuseppe Francalancia, citato più volte da Beccaria nel suo "Gradus Taurinensis" il secondo è Zanatta (citato anche come Zanata e Sanatta). Nell'Ottocento la situazione migliora grazie alla dinastia dei Jest. La prima citazione di Enrico Federico Jest come macchinista della R.Università risale al 1824 nel primo numero del Calendario generale pe' Regii Stati, tuttavia dall'edizione del 1825 si potrebbe trarre la conclusione che la sua presenza come macchinista risalga al 1814. Fu il macchinista fino al 1849. Dal 1851 al 1900 (sic) il primo macchinista fu Carlo Jest, figlio di Enrico, affiancato per alcuni anni (1859-1865) da Costante Jest (probabilmente un cugino di Carlo, ma non sono ancora state trovate notizie certe). Il livello qualitativo raggiunto dalle loro macchine è eccellente. Se ne trovano citazioni in molti libri e periodici dell'epoca e anche gli strumenti tuttora conservati ne rendono testimonianza. La dipendenza dall'estero per quanto riguarda alcune categorie di strumenti scientifici è sicuramente molto diminuita in questi anni.

L'attività dei Jest, sebbene sempre legata all'Università, si svolgeva anche in altri ambiti e presso altri enti. La produzione di strumenti spaziava in vari campi fra i quali Fisica, Meteorologia, Ottica, Chimica e Geodesia. Ne sono stati ritrovati molti in vari licei piemontesi ma anche nelle Università di Torino, Cagliari e Genova, tutti contraddistinti da grande qualità e precisione degna di essere menzionata nei testi dell'epoca1.12. Non è insolito trovare nelle tavole di libri ottocenteschi figure rappresentanti gli strumenti costruiti dai Jest: come esempio riportiamo una figura tratta dal Basso[2].


Altro merito importante dei Jest è quello di aver introdotto la fotografia in Piemonte. Louis Daguerre, perfezionando i risultati ottenuti da Niepce nello studio dell'azione della luce sul bitume di Giudea, giunse nel 1839 alla realizzazione pratica di un apparecchio "fotografico" che destò subito l'attenzione di Arago il quale non mancò di parlarne all'assemblea dell'Accademia di Parigi nelle sedute di Gennaio e Agosto dello stesso anno. La diffusione in Italia fu immediata. I primi esperimenti pubblici furono eseguiti a Firenze agli inizi di Settembre, seguiti dai Jest che costruirono un apparecchio funzionante basandosi solamente sulle descrizioni, senza mai averne visto uno. È dell'8 Ottobre 1839 l'esperimento che si fece a Torino, descritto nella Gazzetta Piemontese del giorno successivo:

``Ci gode di poter annunziare che ieri venne operata fra noi, con singolare facilità, e presenti varie intelligenti persone, una delle più curiose meraviglie dell'ottico-chimica dei nostri giorni, la riproduzione, vogliamo dire, col daguerotipo di una fra le bellissime prospettive di questa capitale...''

Il meraviglioso strumento ha immediato successo: già nel 1840 esce a Torino un periodico intitolato Il Dagherotipo, Galleria popolare enciclopedica, con l'intento di occuparsi de omni re et quibusdam aliis. Due anni dopo i Jest tentarono di fotografare la Sindone ma l'esperimento non riuscì

"per mancanza di luce, pel sollevamento dei vapori e della polvere dal suolo, e più ancora pel troppo breve tempo dell'ostensione''.

[2] G. Basso: Sunti di fisica sperimentale, Derossi, Torino, 1876.